Esattamente sei anni fa tornavo dalla mia prima esperienza in Spagna come ragazza alla pari e scrivevo sul mio diario di viaggio: “sono partita ad occhi chiusi e sono tornata ad occhi aperti. La Spagna mi ha dato serenità, pace al cuore, ed era tutto ciò di cui avevo bisogno.”
A rileggerlo ora, a primo impatto, le giudico come parole scontate. Ma, pensandoci bene, non avrei potuto esprimere meglio il concetto. La vera serenità sono ben lontana dal conoscerla, però penso che esperienze del genere ti facciano pensare “per fortuna sono partita”. E qui dentro c’è tutto: c’è la gioia delle esperienze vissute, la soddisfazione di aver superato dei limiti e di aver raggiunto certi obiettivi, la consapevolezza che, in quel momento della tua vita, quel paese e quelle persone ti hanno saputo dare esattamente ciò di cui avevi bisogno, senza neanche chiederlo. E fu così che, dopo qualche giorno passato in Italia, feci ritorno in Spagna per cominciare l’università, un’idea maturata durante il mio periodo di ragazza alla pari, che mai prima di quel momento avevo preso in considerazione.
Nel 2016 avevo solo due obiettivi: costruirmi una nuova vita all’estero e imparare bene lo spagnolo, che fino a quel momento avevo studiato solo al liceo. Non avrei mai pensato che la mia “nuova vita” sarebbe diventata a tutti gli effetti la mia vita per anni, che lo spagnolo lo avrei davvero imparato come volevo e che tutt’oggi sono ossessionata da questa lingua e dalla paura di perdere anche sono uno 0,0001% di quello che posso avere imparato.
Mi è stata fatta spesso la domanda “come sono gli spagnoli?”
La parola che mi piace usare per descriverli è “travolgenti”. La Spagna ti travolge fin dal primo momento, facendoti incontrare persone piene di vita. Ti insegna la condivisione, soprattutto del cibo, e ti fa sentire parte di un qualcosa. Sentirsi parte di un paese che non è il proprio è una sensazione unica, e a mio parere gli spagnoli sono molto bravi in questo: nel farti sentire uno di loro.
Io mi sono sentita una di loro fin da subito, fin dal primo abbraccio in aeroporto con la mia famiglia “adottiva”, che poi avrei cambiato per trovarne una ancora più fantastica, al mio primo ingresso all’università, dove all’inizio non conoscevo una singola persona. Sono riuscita a superare la timidezza e crearmi una nuova vita e penso che il merito non sia solo mio.
La mia successiva esperienza Erasmus in Germania mi ha aiutata a maturare l’idea che, nonostante tutto dipenda sempre da noi e non dal posto in cui ci troviamo, non possiamo sottovalutare il contesto in cui stiamo vivendo. Ci sono contesti più o meno affini a noi e alle nostre energie. Alla luce di questo ragionamento, in un contesto come quello spagnolo io ci sguazzavo.
Ho frequentato l’università di Traduzione e Intepretazione di Granada, in Andalusia, una città arabeggiante, con migliaia di studenti Erasmus, ma un animo talmente spagnolo da fare invidia alla capitale. Mi ha presa fin da subito: nonostante le numerose difficoltà iniziali, era impossibile non amarla, non lasciarsi trasportare da tutto ciò che succedeva, dalla vita che offriva. Avevo appena concluso la mia esperienza come ragazza alla pari in un paesino di mare non molto lontano da Granada, Almerimar, in provincia di Almería. Un contesto totalmente diverso, a cui però mi ero affezionata tantissimo e dove tornavo almeno una volta al mese. La mia più grande amica di Almerimar era italiana ed è stata l’unica amicizia italiana che ho avuto in tutto il mio percorso in Spagna. Una volta lasciata Almerimar, infatti, sentivo la necessità di circondarmi ancora di più di spagnoli.
Il fatto che fossi italiana ma non una studentessa Erasmus è stato un grandissimo punto a mio favore e ha destato stupore in molte persone. Non uscivo con studenti italiani, anzi, li evitavo palesemente, e mi circondavo per lo più di spagnoli. Grazie a questo metodo infallibile, il mio spagnolo è migliorato sempre più. Il mio ascendente leone, però, veniva sempre fuori in queste situazioni: non riuscivo mai ad accontentarmi, non mi consideravo mai abbastanza brava.
In realtà ringrazio l’ossessione che provavo, e provo tuttora, nei confronti di questa lingua, perché è stata lei a permettermi di graduarme. Riuscire a sostenere 4 anni di università traducendo dal tedesco e portoghese allo spagnolo (dato che era la mia lingua A), all’inizio mi ha fatto provare tantissima insicurezza, ma ben presto l’insicurezza si è tramutata in adrenalina e soddisfazione. Non mi sono mai sentita dire “perché traduci in una lingua che non è la tua?”, al contrario, tutti si congratulavano con me ed erano sorpresi di come io potessi lavorare con due lingue che non fossero le mie.
Non ho mai sottovalutato questa fiducia che mi è sempre stata data da parte loro. Mi sono sempre sentita fortunata e piano piano in me è cresciuta la consapevolezza di stare tenendo l’asticella altissima. L’essere considerata alla pari dei miei colleghi spagnoli mi ha permesso di migliorare. Per i professori non ero in Erasmus, ero una studentessa come tutti gli altri miei colleghi e, come tale, non avevo alcun tipo di “lascia passare”. Questo mi ha stimolato tantissimo e mi ha sempre spinto a dare il massimo in qualsiasi lavoro dovessi fare perché, alla fine, la mia traduzione sarebbe stata valutata per quello che valeva.
Ho cominciato con tante insicurezze e un livello relativamente basso (era comunque il frutto di 9 mesi di ragazza alla pari) e ho concluso il mio percorso con una tesi sul bilinguismo italiano-spagnolo. Ad oggi mi considero bilingue non per una questione solamente linguistica, ma soprattutto perché sento di aver vissuto la vita spagnola a 360 gradi, nel mio piccolo mi sono sentita integrata e parte della società. Sono rientrata in Italia ad aprile 2020, eppure sento di avere ancora la mia doppia vita, di avere ancora quel filo che mi unisce alla Spagna, che non sono altro che le persone, che tutt’oggi fanno parte della mia vita.
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¡Muchas gracias por tu tiempo!
Giorgia M.