“Il traduttore non deve solo rendere in un’altra lingua il testo che gli è stato commissionato, il traduttore deve tener conto durante il suo lavoro di molte variabili, prima tra tutte la cultura”. Quante volte avrò sentito pronunciare questa frase dai miei professori di traduzione…
La cultura di un popolo è infatti la principale fonte di influenza di una lingua. E dato che ogni cultura è unica ed è composta da concetti spesso inesistenti nelle altre culture, esisteranno in tutte le lingue delle parole intraducibili che denotano cose culturospecifiche.
Furono i due ricercatori bulgari Vlahov e Florin a coniare verso la fine degli anni Sessanta il termine realia, che definirono come segue:
[…] parole della lingua popolare che costituiscono nominazioni di oggetti, concetti, fenomeni tipici di un ambiente geografico, di una cultura, della vita materiale o di peculiarità storico-sociali di un popolo, di una nazione, di un paese, di una tribù, e che quindi sono portatrici di un colorito nazionale, locale o storico; queste parole non hanno corrispondenze precise in altre lingue […]
Ma quindi, in parole povere, come possiamo identificare i realia?
Possiamo considerare realia i proverbi, le locuzioni, i modi di dire tipici di una cultura. Ma anche parole appartenenti a qualsiasi campo, come pampa, murales, tornado, perestrojka, matrioska, ‘ndrangheta, spaghetti, nouvelle, kiwi… insomma, tutte le parole che appartengono a una cultura specifica.
A questo punto vi starete chiedendo: cosa fare quando si incontrano dei realia in traduzione?
Le tecniche per rendere un realia sono svariate. Si può optare per la trascrizione o per la traslitterazione, nel caso in cui la parola originaria sia di un alfabeto diverso da quello della cultura ricevente. Oppure si può creare un neologismo o un calco (come nel caso di “fine settimana” per l’inglese weekend). Si può esplicitare il contenuto, facendo una sorta di parafrasi (per esempio tradurre “appartamento in coabitazione” per il russo kommunalka) oppure si può sostituire il realia con un iperonimo, un omologo generico (come nel caso di “organizzazione criminale” per ‘ndrangheta). Inoltre, si può aggiungere un aggettivo che indichi l’origine di tale parola, come “la pampa argentina”.
I fattori da considerare per scegliere la strategia da adottare.
Sono molte le tecniche a cui si può ricorrere quando incontriamo un realia nel testo che stiamo traducendo e non esiste una regola ben precisa che ci permette di stabilire quale strategia sia la più adatta caso per caso.
Questa scelta, tuttavia, può dipendere da vari fattori, come per esempio la tipologia di testo. Nel caso dei testi espositivi, giornalistici o scientifici si tende a preferire la trascrizione o la traslitterazione della parola piuttosto che la sua traduzione. In altre tipologie di testo tipo quello narrativo si preferisce sostituire il realia con un omologo generico o con una parola dal significato affine o addirittura ometterlo per mantenere il testo il più naturale possibile.
Vale la pena anche tenere in considerazione quanto è importante il realia nel testo di partenza. Infatti, se si tratta di un elemento estraneo anche alla cultura emittente, spesso l’alone esotico è voluto ed è opportuno preservarlo. Se invece è proprio della cultura emittente, mantenerlo provocherebbe un esotismo inesistente nel testo di partenza.
Come per quasi tutte le domande in ambito traduttivo, anche per “come si traduce un realia” la risposta è “dipende dal contesto”. Ovviamente, la prima cosa fondamentale è saper individuare un realia, il che non è poi così scontato. Quindi un traduttore non solo deve essere un esperto linguistico, ma anche (e soprattutto) un esperto culturale.
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